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Recensione ► alt-J: "Relaxer" (Infectious, 2017)

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Rallentare. Questo, forse, hanno pensato gli alt-J dopo la sovraesposizione degli anni passati. Un disco fatto più di vuoti che di pieni, il loro ultimo “Relaxer”, privo delle dinamiche mirabolanti che caratterizzavano le scorse prove (per quanto già “This Is All Yours” apparisse scricchiolante e incerto). Questa volta, però, l’impressione è di avere a che fare con un tentativo di messa a lucido di vecchie outtake: ogni dinamismo, ogni segno di eclettismo in sede di arrangiamento e composizione è sacrificato a favore di un mood piatto, calmo e disteso, dove al minimalismo degli arrangiamenti si unisce un senso della composizione sonnacchioso, privo di vitalità, per otto brani che privilegiano tessiture larghe e ritmiche statiche.
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Funghi

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Vedete le lamelle? Guardate le lamelle, guarda anche tu Marzia, che ogni tanto mi ci cadi ancora, sulle lamelle: tutte convergono verso il margine del gambo, visto? Ma non come quelle sub-libere, quelle del fungo appena passato in rassegna; queste vanno a congiungersi più giù, scendendo in lunghezza sul gambo, come per abbracciarlo. Vero Marzia? Questa è una Galerina marginata e potreste trovarla tra il muschio, oppure sui tronchi morti di pini e conifere in generale. Potreste raccoglierla, nessuno ve lo impedisce. Scherzo, Marzia. Fate attenzione, cari soci, non raccoglietela, perché il fungo in questione è uno dei più velenosi che esistano, ed è facile confonderlo col chiodino o col piopparello. La sua assunzione comporta dolori addominali, nausea, diarrea, fino alla morte tra atroci sofferenze. Niente di carino, no no! Vero Marzia?

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Recensione ► Offa Rex: "The Queen of Hearts" (Nonesuch, 2017)

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Avrebbero potuto chiamarsi “The Decemberists & Olivia Chaney”, in fondo. E invece no. La scelta del nuovo nome non solo suggella la differenza qualitativa del progetto, ispirato al british folk-rock di Fairport Convention e Steeleye Span, ma rimarca anche i pesi relativi delle varie componenti: non Olivia Chaney come semplice vocalist, ma un vero e proprio scambio di ruoli tra lei e i Decemberists, prestati a band di supporto. È la Chaney che conduce, la sua voce che viene lasciata sola in più di una occasione, lei che conferisce ai brani la credibilità in grado di rendere l’album tanto riuscito. Eppure lo spirito collaborativo è altrettanto forte, e lo è fin dall’inizio della storia, cominciata con un tweet di Colin Meloy -capace di innescare la scintilla che avrebbe portato ad un tour comune- e giunta a questo “The Queen of Hearts”, omaggio appassionato alla tradizione folk britannica, qui riscritta, reinterpretata, rivitalizzata secondo il gusto del revival anni Sessanta-Settanta.
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