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Recensione ► Jake Xerxes Fussell: "What in the Natural World" (Paradise of Bachelors, 2017)

Jake Xerxes Fussel, alum 2017 recensione



Continua la riscoperta della tradizione folk americana da parte di Jake Xerxes Fussell, anche se questa volta sembra che il ragazzone del Sud (con quel suo secondo nome così esotico, suggestiva ipotesi di un legame tra diverse mitologie) abbia aggiunto al tutto un pizzico di personalità in più. 

Non che i brani dell’esordio di due anni fa non fossero rivisitati a dovere: semplicemente, questa volta, Fussell si scopre più meditativo e assorto, maggiormente disposto a lasciarsi andare in divagazioni strumentali, lavorando su sfumature e impasti di colore che sanno più di presente che di passato.
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John Fahey sarebbe fiero di voi. I primitivisti americani del nuovo Millennio

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John Fahey
L'American Primitivism è un genere che mi ha sempre affascinato moltissimo. Fondato, come recitano i manuali, da John Fahey, personaggio incastrato tra il mito e la miseria, lo stile primitivista è caratterizzato da una rilettura della tradizione folk rurale americana in chiave "raga". Le composizioni primitive erano lunghe, oniriche, suite di chitarra acustica suonata prevalentemente in fingerpicking, madide di sentori esotici, di arabeschi vibranti, di dilatazioni che sarebbero poi state il pane quotidiano della scena blues-psichedelica della seconda metà degli anni Sessanta.

Tra i pionieri del genere alcuni chitarristi intenti in un'opera di vera e propria trasfigurazione dell'espressività tradizionale: il sound diventava espressione di un immaginario astratto più che una polverosa testimonianza di vita terrena. A contare, più che la tecnica, erano proprio le visioni che la musica era capace di stimolare.
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Carta igienica

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Sono seduto sul cesso e rido, rido, e nel frattempo faccio scorrere con decisi colpetti di polso il rotolo di carta igienica, quel batuffolo soffice e morbido, il quale gira, gira e gira, disperdendo a terra il rullo di doppi veli che si accumulano l’uno sull’altro, strato dopo strato, poco distanti dalla tazza. Sono felice, e rido, rido…

La mattina ho affrontato la sveglia presto con un’insolita leggerezza. Certo, quella cassa che mi aspettava immersa nelle luci ancora semi-spente del discount, quell’aria immobile e ancora ammorbata dai profumi dei detersivi per pavimenti irrorati da addette alle pulizie anonime e sfuggenti (le incontro sempre all’uscita, tengono gli occhi bassi e scorrono silenziose oltre le porte scorrevoli, svanendo nell’alba), per non parlare dei primi clienti e l’abitudine al monotono “bip” dei codici a barre riconosciuti dai sensori: tutto mi risultava sgradevole come al solito. Ma sapevo di poter sopportare.
E così ho fatto, ho sopportato.
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