"Marco Polo" è un disco teorico: l'esploratore del "Milione" diventa, più che un uomo da raccontare con occhi da biografo, uno spunto di (auto)analisi, un'ipotesi da validare. Marco Polo è un problema. "Marco Polo" è un disco esoterico, anche: i significati sono celati da una sintassi frammentata ed ermetica, istintiva ed essenziale, condotta a colpi secchi di sensazioni/annotazioni giustapposte, senza particolari nessi logici. Allo stesso tempo, però, tutto sembra frutto di una profonda meditazione, di una prassi rigorosa.
Fa specie, allora, pensare che un disco così ineffabile e astratto (sperimentale, quindi), sia stato "un disco fatto con l'industria, costato tantissimo con delle partecipazioni internazionali", come racconta Flavio Giurato intervistato da Fabio De Min. Un'industria che raramente ha accettato di avventurarsi in lidi tanto poco sicuri, di farsi carico di estremizzazioni sonore del calibro di quelle messe in atto qui da Giurato.