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Marco Polo: la tempesta quieta di Flavio Giurato

copertina marco polo flavio giurato

"Marco Polo" è un disco teorico: l'esploratore del "Milione" diventa, più che un uomo da raccontare con occhi da biografo, uno spunto di (auto)analisi, un'ipotesi da validare. Marco Polo è un problema. "Marco Polo" è un disco esoterico, anche: i significati sono celati da una sintassi frammentata ed ermetica, istintiva ed essenziale, condotta a colpi secchi di sensazioni/annotazioni giustapposte, senza particolari nessi logici. Allo stesso tempo, però, tutto sembra frutto di una profonda meditazione, di una prassi rigorosa.
Fa specie, allora, pensare che un disco così ineffabile e astratto (sperimentale, quindi), sia stato "un disco fatto con l'industria, costato tantissimo con delle partecipazioni internazionali", come racconta Flavio Giurato intervistato da Fabio De Min. Un'industria che raramente ha accettato di avventurarsi in lidi tanto poco sicuri, di farsi carico di estremizzazioni sonore del calibro di quelle messe in atto qui da Giurato.
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Musica sinfonica in discoteca. I Baustelle, l'amore e la violenza

Baustelle recensione 2017 matteo castello
Tornati in studio a quattro anni di distanza dal magniloquente, esagerato, fastoso "Fantasma", i Baustelle trovano una più posata maniera collocandosi a metà strada tra la maturità autoriale di "Amen" e il synthpop giovanile de "La moda del lento".

In "L'amore e la violenza" Bianconi sembra abbandonare gli eccessi dei capitoli precedenti (anche "I mistici dell'Occidente" non scherzava), facendo a meno dei continui rimandi biblici/mitologici da crisi di mezza età, dell'ipertrofia testuale delle liriche, recuperando invece una sorta di estetica della banalità (si prenda un verso come "che sciocchezza la guerra", o il testo di "La vita") che ritrova l'espressività allusiva e velenosa degli esordi, tornando finalmente a bilanciare i due elementi costitutivi della canzone: più rilievo alla musica e ruolo maggiormente funzionale e accessorio del testo (ché nella musica pop le liriche servono a poco, giusto a dare argomenti ai giornalisti delle pagine culturali dei quotidiani, anche se a volte con i testi ci si vincono i Nobel).
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"Nemmeno per la felicità". Il folk secondo Julie Byrne

articolo julie byrne recensione matteo castello
Ma che brava Julie Byrne
Nata a Buffalo ma da sempre in vagabondaggio lungo gli States, la giovane (26 anni) cantautrice fa un netto passo in avanti rispetto al precedente "Rooms With Walls and Windows", già capace di mettere in scena le caratteristiche che -debitamente perfezionate- fanno brillare il nuovo "Not Even Happiness", pubblicato dalla newyorkese Ba Da Bing! Records.
Un senso dello spazio esteso, etereo, una matrice vaga dove ondeggiano e tremolano le chitarre acustiche, dove risuona la voce grave e melodiosa, che risente tanto di umori soul quanto di influenze folk. Se allora tutto questo era proposto in chiave free/pasticciata, oggi la creatura della Byrne sboccia e profuma.
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Giovanni Lindo Ferretti: di forma e di sostanza

Giovanni Lindo Ferretti è una presenza anomala e confortante. La storia è nota a tutti: passato dal punk al rock d'autore, è finito con l'incarnare la figura di mistico e devoto montagnardo, diventando oggetto di interesse più per il pensiero che per la musica.

Presenza anomala, dicevo, perché apparentemente contradditoria: il suo porsi come cattolico tradizionalista dopo anni di "punk filosovietico" ha scatenato la confusione e lo sconcerto in un pubblico abituato a concepire in senso poco elastico il rapporto dei musicisti con le loro idee politiche. La sconfessione dell'artista dopo dichiarazioni non in linea con le aspettative è uno sport nazionale: si pensi alle critiche mosse a Guccini dopo il suo supporto al Pd, o al villipendio di Benigni a causa di posizioni non approvate dal tribunale dell'ortodossia. E allora Ferretti come traditore, come fuori di testa, come poveraccio (ma capace, nonostante tutto, di affollare i concerti).
Una presenza confortante, quindi, perché dinanzi alla tendenza di semplificazione imperante, Ferretti si è sempre posto con fare educatamente sprezzante e irrisorio. Credo che ci sia della lucidità, della voluta provocazione, nel rapporto di Ferretti con la comunicazione sui media: consapevole della natura appiattente della televisione, ad esempio, Lindo Ferretti ribadisce tesi lapidarie e fondamentaliste da Ferrara. Immagino i sorrisi di fronte alle reazioni scandalizzate.
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