“They don't like women to be frightening, you know?”
(“The Muse interview with Lisa Germano”, ottobre 1995)
Mi sono sempre ostinato a voler scorgere più o meno plausibili punti di contatto tra il terzo album di Lisa Germano e il vuoto lasciato dal colpo di fucile con cui Kurt Cobain -giusto sei mesi prima della pubblicazione di questo “Geek the Girl”- ha dato il suo estremo addio al mondo. Non riesco a non notare una certa continuità tra il lato più introverso e inquieto del grunge e il capolavoro della musicista americana, capace di traghettare in altra guisa (la materia, qui, è un chamber folk che germina tra ruggini alt-rock) molti degli stilemi di quella stagione: c'è la provincia (la Germano è di Mishawaka, Indiana), con la sua generazione masticata e sputata in una fine millennio de-ideologica, vuota e immobile (“songs for people who are stuck but they want to go somewhere else”), c'è la rudezza del sound, c'è un lirismo scontroso che fa dell'Io il baricentro privilegiato di generazioni spezzettate, frammentate, sole, senza collante (anche il cinema coglie lo spirito di questa nuova blank generation insoddisfatta e annoiata, si pensi agli adolescenti di film come “American Beauty” e “Ghost World”, o al girovago bohémien/nullafacente/naufrago di “Naked”).
(“The Muse interview with Lisa Germano”, ottobre 1995)
Mi sono sempre ostinato a voler scorgere più o meno plausibili punti di contatto tra il terzo album di Lisa Germano e il vuoto lasciato dal colpo di fucile con cui Kurt Cobain -giusto sei mesi prima della pubblicazione di questo “Geek the Girl”- ha dato il suo estremo addio al mondo. Non riesco a non notare una certa continuità tra il lato più introverso e inquieto del grunge e il capolavoro della musicista americana, capace di traghettare in altra guisa (la materia, qui, è un chamber folk che germina tra ruggini alt-rock) molti degli stilemi di quella stagione: c'è la provincia (la Germano è di Mishawaka, Indiana), con la sua generazione masticata e sputata in una fine millennio de-ideologica, vuota e immobile (“songs for people who are stuck but they want to go somewhere else”), c'è la rudezza del sound, c'è un lirismo scontroso che fa dell'Io il baricentro privilegiato di generazioni spezzettate, frammentate, sole, senza collante (anche il cinema coglie lo spirito di questa nuova blank generation insoddisfatta e annoiata, si pensi agli adolescenti di film come “American Beauty” e “Ghost World”, o al girovago bohémien/nullafacente/naufrago di “Naked”).