“Roman Candle” è tutto quello che viene prima: prima della notorietà, del successo, dei tour mondiali, delle interviste e delle prime di copertina sulle riviste musicali. “Roman Candle” è un lavoro intimo, la testimonianza di una sensibilità che con gli Heatmiser non riusciva proprio a venir fuori, sovrastata da una corazza indie rock che non faceva per Smith, forse consapevole che tanto valeva lasciare il genere a giganti come Fugazi, Nirvana e Dinosaur Jr. E no, Smith non era un gigante, al contrario: timido, riservato, semplice, finito ad Hollywood come Gus Van Sant era passato dai suoi ritratti americani alternativi al mainstream di Will Hunting, in maniera improvvisa, fugace (per registrare il brano candidato all’oscar “Miss Misery” Elliott fu chiamato da Van Sant, a sua volta scelto da Ben Affleck e Matt Damon per la regia della loro sceneggiatura).
Cerca nel blog
"A Theory of Human Need". Una sintesi.
“I
presupposti
da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti
reali, dai quali si può astrarre solo nell'immaginazione. Essi sono
gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di
vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto
quelle prodotte dalla loro stessa azione. Questi presupposti sono
dunque constatabili per, via puramente empirica. Il primo presupposto
di tutta la storia umana è naturalmente l'esistenza di individui
umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque
l'organizzazione fisica di questi individui e il rapporto, che ne
consegue, verso il resto della natura. Qui naturalmente non possiamo
addentrarci nell'esame né della costituzione fisica dell'uomo
stesso, né delle condizioni naturali trovate dagli uomini, come le
condizioni geologiche oro-idrografiche, climatiche, e così via. Ogni
storiografia deve
prendere le
mosse da queste basi
naturali e
dalle modifiche da esse subite nel corso della storia per l'azione
degli uomini. Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la
coscienza, per la religione,
per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi
dagli animali allorché cominciarono a produrre
i loro
mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro
organizzazione fisica. Producendo loro mezzi di sussistenza, gli
uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale. Il
modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di sussistenza dipende
prima di tutto dalla natura dei mezzi di sussistenza che essi trovano
e che debbono riprodurre. Questo modo di produzione non si deve
giudicare solo in quanto è la riproduzione dell'esistenza fisica
degli individui; anzi, esso è già un modo determinato dell'attività
di questi individui, un modo determinato di estrinsecare la loro
vita, un modo
di vita determinato.
Come gli individui esternano la loro vita, così essi sono”
(K.Marx, L'ideologia Tedesca, cap.II, 1846)
Per una teoria
Len Doyal e Ian Gough,
nel loro “A Theory of Human Need” (1991), si pongono l'obiettivo
non solo di dimostrare l'esistenza di bisogni umani universali, ma
anche quello di classificarli e misurarli. L'assunto
dell'universalità di tali bisogni, assieme a quello della
loro oggettività, si scontra con l'approccio soggettivista e
relativista che, per gli autori, avrebbe portato all'egemonia, negli
anni '80, della cosiddetta “nuova destra” (pg.1). La supremazia
del mercato nel venire incontro alle preferenze soggettive, secondo
l'assunto welfarista (o individualismo etico: “ognuno è il
miglior giudice di se stesso e i connotati degli stati del mondo si
esauriscono nella percezione che ne scaturisce per gli individui”,
Acocella, 2007, pg.30), sarebbe stato il risultato legato a questa
egemonia culturale: “for it the notion of objective need is
groundless, then what alternative is there but to believe that
individuals know what is best for themselves and to encourage them to
pursue their own subjective goals or preferences? And what better
mechanism is there to achieve this than the market?” (pg.1-2).
Il 2016 (finora) in 5 dischi
1) Yeasayer - Amen & Goodbye (Mute)
Ritorno in gran spolvero per la band di Brooklyn, che finalmente trova un equilibrio tra la world music di "All Hour Cymbals" e il pop elettronico di "Odd Blood". Lavori creativi, quelli, ma non così ben congegnati. Qui invece convivono equilibrio e fughe in avanti. Ogni elemento trova un suo posto, come in posa (la copertina parla chiaro), animandosi però in una rappresentazione plastica dove alla scrittura (raffinata, centrata, di grande resa pop) si accosta un senso dell'arrangiamento storto, psichedelico, strabordante. Bentornati!
Ritorno in gran spolvero per la band di Brooklyn, che finalmente trova un equilibrio tra la world music di "All Hour Cymbals" e il pop elettronico di "Odd Blood". Lavori creativi, quelli, ma non così ben congegnati. Qui invece convivono equilibrio e fughe in avanti. Ogni elemento trova un suo posto, come in posa (la copertina parla chiaro), animandosi però in una rappresentazione plastica dove alla scrittura (raffinata, centrata, di grande resa pop) si accosta un senso dell'arrangiamento storto, psichedelico, strabordante. Bentornati!
Beni Comuni: l'equivoco Hardin
Una riflessione scritta nel 2013, in occasione della presentazione del libro "Contro i beni comuni. Una critica Illuminista" di Ermanno Vitale.
La prospettiva dei beni comuni, in
particolare dopo il referendum del 2011 sull'acqua pubblica, è stata
salutata come il nuovo paradigma su cui incentrare i più luminosi
progetti di emancipazione umana. L'intuizione salvifica, il nuovo
paradigma per una “narrazione” radicalmente alternativa. Il
bene-comunismo, si è detto: Marx torna di moda! Ecco però che il
presunto concetto passe-partout che avrebbe dovuto fornire l'emblema
delle future lotte e le basi ideali per riunire le anime disperse
della sinistra, rischia oggi di afflosciarsi proprio per la mancanza
di argomenti convincenti. O, se non per la mancanza, per l'ambiguità
e la vaghezza di tali argomenti. La ricerca di una narrazione non è
cosa sufficiente, nonostante i proclami post-moderni di chi pensa che
l'unica via per modificare la realtà sia quella di raccontarne
un'altra. Senza solide basi, ogni narrazione rimane quello che è: un
racconto, non la realtà.
Profughi
La luce che taglia l’oscurità, un fascio che penetra dalla finestra, dalle tendine appena scostate, il bagliore di un guizzo riflesso dal vetro incorniciato, il microscopico pulviscolo della stanza illuminato nel suo volteggiare. Un gesto cristallizzato. Sorrisi. Una mano e l’altra, intrecciate. Un ricordo serbato in un flash. L’abitudine quieta conservata a mo’ di reliquia, una certezza inossidabile di come la vita può essere stabile, consueta, serena. Poi le scosse, la fretta, giù per le scale, prendi quello che riesci, ma sbrigati, forza! Quella foto rimasta lì, sul comodino, a raccontare qualcosa di noi ai poveri cristi che si sarebbero avventurati in quelle stanze. Forse sarà gettata via come uno scarto di vite inutili, residue. Residui, questo siamo. Le facce nella fotografia non sono che pallide illusioni di eternità, l’abracadabra di un presente catturato nell’attimo migliore. Ora c’è solo un lieve dondolio, la brezza fredda, lo sciacquio delle onde sullo scafo precario, l’oscurità più assoluta. Mille voci in una, un gemito unanime. È notte.