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Elliott Smith - Roman Candle (Cavity Search, 1994)

copertina album Elliott Smith
Roman Candle” è tutto quello che viene prima: prima della notorietà, del successo, dei tour mondiali, delle interviste e delle prime di copertina sulle riviste musicali. “Roman Candle” è un lavoro intimo, la testimonianza di una sensibilità che con gli Heatmiser non riusciva proprio a venir fuori, sovrastata da una corazza indie rock che non faceva per Smith, forse consapevole che tanto valeva lasciare il genere a giganti come Fugazi, Nirvana e Dinosaur Jr. E no, Smith non era un gigante, al contrario: timido, riservato, semplice, finito ad Hollywood come Gus Van Sant era passato dai suoi ritratti americani alternativi al mainstream di Will Hunting, in maniera improvvisa, fugace (per registrare il brano candidato all’oscar “Miss Misery” Elliott fu chiamato da Van Sant, a sua volta scelto da Ben Affleck e Matt Damon per la regia della loro sceneggiatura).

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"A Theory of Human Need". Una sintesi.


I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell'immaginazione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Questi presupposti sono dunque constatabili per, via puramente empirica. Il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l'esistenza di individui umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque l'organizzazione fisica di questi individui e il rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura. Qui naturalmente non possiamo addentrarci nell'esame né della costituzione fisica dell'uomo stesso, né delle condizioni naturali trovate dagli uomini, come le condizioni geologiche oro-idrografiche, climatiche, e così via. Ogni storiografia deve prendere le mosse da queste basi naturali e dalle modifiche da esse subite nel corso della storia per l'azione degli uomini. Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale. Il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di sussistenza dipende prima di tutto dalla natura dei mezzi di sussistenza che essi trovano e che debbono riprodurre. Questo modo di produzione non si deve giudicare solo in quanto è la riproduzione dell'esistenza fisica degli individui; anzi, esso è già un modo determinato dell'attività di questi individui, un modo determinato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato. Come gli individui esternano la loro vita, così essi sono” (K.Marx, L'ideologia Tedesca, cap.II, 1846)

Per una teoria
Len Doyal e Ian Gough, nel loro “A Theory of Human Need” (1991), si pongono l'obiettivo non solo di dimostrare l'esistenza di bisogni umani universali, ma anche quello di classificarli e misurarli. L'assunto dell'universalità di tali bisogni, assieme a quello della loro oggettività, si scontra con l'approccio soggettivista e relativista che, per gli autori, avrebbe portato all'egemonia, negli anni '80, della cosiddetta “nuova destra” (pg.1). La supremazia del mercato nel venire incontro alle preferenze soggettive, secondo l'assunto welfarista (o individualismo etico: “ognuno è il miglior giudice di se stesso e i connotati degli stati del mondo si esauriscono nella percezione che ne scaturisce per gli individui”, Acocella, 2007, pg.30), sarebbe stato il risultato legato a questa egemonia culturale: “for it the notion of objective need is groundless, then what alternative is there but to believe that individuals know what is best for themselves and to encourage them to pursue their own subjective goals or preferences? And what better mechanism is there to achieve this than the market?” (pg.1-2). 
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Il 2016 (finora) in 5 dischi

migliori album 2016 Castello
 1) Yeasayer - Amen & Goodbye (Mute)
Ritorno in gran spolvero per la band di Brooklyn, che finalmente trova un equilibrio tra la world music di "All Hour Cymbals" e il pop elettronico di "Odd Blood". Lavori creativi, quelli, ma non così ben congegnati. Qui invece convivono equilibrio e fughe in avanti. Ogni elemento trova un suo posto, come in posa (la copertina parla chiaro), animandosi però in una rappresentazione plastica dove alla scrittura (raffinata, centrata, di grande resa pop) si accosta un senso dell'arrangiamento storto, psichedelico, strabordante. Bentornati!

 
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Beni Comuni: l'equivoco Hardin


Una riflessione scritta nel 2013, in occasione della presentazione del libro "Contro i beni comuni. Una critica Illuminista" di Ermanno Vitale.

La prospettiva dei beni comuni, in particolare dopo il referendum del 2011 sull'acqua pubblica, è stata salutata come il nuovo paradigma su cui incentrare i più luminosi progetti di emancipazione umana. L'intuizione salvifica, il nuovo paradigma per una “narrazione” radicalmente alternativa. Il bene-comunismo, si è detto: Marx torna di moda! Ecco però che il presunto concetto passe-partout che avrebbe dovuto fornire l'emblema delle future lotte e le basi ideali per riunire le anime disperse della sinistra, rischia oggi di afflosciarsi proprio per la mancanza di argomenti convincenti. O, se non per la mancanza, per l'ambiguità e la vaghezza di tali argomenti. La ricerca di una narrazione non è cosa sufficiente, nonostante i proclami post-moderni di chi pensa che l'unica via per modificare la realtà sia quella di raccontarne un'altra. Senza solide basi, ogni narrazione rimane quello che è: un racconto, non la realtà.

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Profughi

racconto Matteo Castello Profughi
La luce che taglia l’oscurità, un fascio che penetra dalla finestra, dalle tendine appena scostate, il bagliore di un guizzo riflesso dal vetro incorniciato, il microscopico pulviscolo della stanza illuminato nel suo volteggiare. Un gesto cristallizzato. Sorrisi. Una mano e l’altra, intrecciate. Un ricordo serbato in un flash. L’abitudine quieta conservata a mo’ di reliquia, una certezza inossidabile di come la vita può essere stabile, consueta, serena. Poi le scosse, la fretta, giù per le scale, prendi quello che riesci, ma sbrigati, forza! Quella foto rimasta lì, sul comodino, a raccontare qualcosa di noi ai poveri cristi che si sarebbero avventurati in quelle stanze. Forse sarà gettata via come uno scarto di vite inutili, residue. Residui, questo siamo. Le facce nella fotografia non sono che pallide illusioni di eternità, l’abracadabra di un presente catturato nell’attimo migliore. Ora c’è solo un lieve dondolio, la brezza fredda, lo sciacquio delle onde sullo scafo precario, l’oscurità più assoluta. Mille voci in una, un gemito unanime. È notte.

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