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Siouxsie and The Banshees - Juju (Polydor, 1981)


Ogni scena musicale ha i suoi luoghi chiave, le sue geografie di riferimento. Nel caso del punk il luogo in questione (come racconta Jon Savage nel suo “Il sogno inglese”) è il distretto di World's End, alla fine di King's Road. Più precisamente: è il locale al pianterreno, il numero 430, l'epicentro di quella stagione. Lì sorge uno dei tanti edifici di epoca vittoriana che, a partire dagli anni Sessanta, diventa sede della boutique per dandy-hippie di Michael Rainey. E che c'entra col punk? C'entra, perché un decennio dopo lo stesso locale si chiama SEX ed è gestito da Malcolm McLaren e Vivienne Westwood. Il resto della storia lo conosciamo. Fatto sta che i corsi e ricorsi del 430 di King's Road scandiscono le fasi che portano all'affermazione -quantomeno quella estetica- del punk. Vedendo sfumare la stagione flower power il negozio, grazie a McLaren, cambia stile: prima abbraccia il revival teddy boy, confezionando giubbotti di pelle cui vengono applicate le prime borchie, poi sposa una bizzarra e sessualmente ambigua vena situazionista. E il punk è servito. Abbasso i fiori, la pace e tutto il resto e viva la degenerazione e la sgradevolezza. Purché integrate in un discorso pop. I Sex Pistols sono, a questo punto, le cavie perfette.

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