Ora è tutto finito. È stato un
attimo, uno strappo, ed eccomi qui a penzolare al freddo. La gente è
rimasta per un po' a guardare il mio corpo rigido alla ricerca di
qualche dettaglio morboso a cui pensare nei giorni a venire. Ci
portano anche i bambini in occasioni come queste. Dicono che serve da
esempio. Stronzate. Quando ho visto la mia prima esecuzione mio padre
mi ha dato uno schiaffone e mi ha costretto a guardare. Non so
nemmeno che cosa avesse fatto quel disgraziato, sarà stato un
balordo come tanti altri. L'unica cosa che mi ha lasciato
quell'esperienza è lo schifo: per questo paese pulcioso e per mio
padre. La gente si ammassa sempre in occasioni come questa, ed è per
questo che la gente mi ripugna peggio di un cane rognoso. La gente di
qui passa la vita a marcire nel rancore e a guardare i poveracci
crepare. Come per darsi uno scossone, o per convincersi che tutto
sommato c'è chi sta peggio.
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Non temo la gente, parte 3
Parte 1: qui
Parte 2: qui
Il giorno dopo era
stato tutto un fremito di collettivi, di fazioni e sotto-fazioni:
bisognava imporre una linea il giorno venturo. Ma prima bisognava
deciderla in casa propria, la linea. Ogni riunione preparativa era a
sua volta un'assemblea sfiancante. In quella del mio gruppo, dopo ore
ed ore di discussione, ripensamenti, litigi e compromessi di buon
senso dell'ultimo minuto, si era arrivati ad una buona sintesi. Era
stimolante mettersi alla prova in quella gara di idee, dove i
vincitori venivano fuori solo dopo diverse scremature, grazie al
contributo di tutti. Certo, c'erano i leaders, perlopiù gente in
gamba con più esperienza e sale in zucca di noialtri, ma rivestivano
un ruolo pedagogico (ovviamente non dichiarato) più che carismatico.
A loro comunque veniva affidata la rappresentanza nelle grandi
occasioni, segno di come la democrazia partecipativa era una buona
cosa fino a che parlare in pubblico non iniziava a diventare una
faccenda troppo grossa. Appena spuntava una telecamera o un ruolo di
responsabilità ecco che si optava senza troppa vergogna per il
vecchio e sano principio gerarchico.
Non temo la gente, parte 2
Tra fine delle lezioni e sessione esami
io e R. non ci siamo più visti per un bel pezzo. Che fine aveva
fatto, dava gli esami? Nemmeno allo scritto del corso delle 16 si era
fatto vivo. Poco male, io continuavo ad essere immerso nell'universo
dissenziente, facevo mille conoscenze e credevo che tutto potesse
cambiare solo perché noi lo volevamo. Non volevo dargli ragione, non
credevo neppure l'avesse. Per quanto ragionevole, il suo sistema
portava al rifiuto di ogni pratica collettiva, all'azzeramento in
partenza di ogni possibilità di una presa di coscienza di massa. Mi
sono confrontato con tante di quelle persone che subito la
convinzione di essere nel giusto, per un attimo vacillata di fronte
alla limpidezza del ragionamento di R., è ritornata dalla mia parte.
Bisognava far presto e non appena ricominciato il semestre
ricominciare a sensibilizzare, a volantinare, a scuotere il grigiore
e l'afasia delle aule universitarie. In più avevo conosciuto una
ragazza che era una favola, tanto vorace a letto quanto entusiasta
nelle riunioni e nei cortei. Aveva i capelli neri e gli occhi grandi,
rideva spesso -come piaceva a me- e la sua testa produceva pensieri
uno dopo l'altro. Tutti belli e luminosi. Mi infondeva coraggio e
fiducia. Quando camminavamo assieme per le vie della città sembrava
che tutto si accordasse ai nostri passi, che tutto ammiccasse al suo
sorriso, che ogni cosa fosse concorde alle sue idee.