Lui nella vita sociale ci sguazzava,
parola mia. Non ho mai conosciuto nessuno capace quanto il buon R. di
destreggiarsi con tanta maestria attraverso la jungla delle
relazioni, le rapide delle logiche di gruppo, le correnti
dell'accettazione sociale. Sapeva cosa fare e cosa dire sempre e
comunque, illuminava con il suo ego ogni ambiente dove fossero
presenti più di due persone (lui escluso), aveva assi nella manica
per ogni evenienza e necessità. Faceva tutto con garbo, mai sopra le
righe. E vinceva, inutile dirlo, ogni mano.
Erano tempi strani quelli in cui ho
conosciuto R., tempi che sono passati troppo in fretta, vissuti
pienamente ma senza pensarci su troppo. Idea e realtà sembravano
collegati: non lo erano affatto. Si agiva e basta, credendo di essere
guidati da qualche ideale che però sfumava appena la foga collettiva
scemava, lasciando come scarti solo stanchezza e incompletezza. Il
tempo in quel periodo era una melassa che si contorceva e si
modellava disordinatamente, creando strati su strati che si
mischiavano, si addensavano, restavano appiccicati alla pelle. Se ti
ci trovavi dovevi starci dentro, invischiato fino al collo. A volte
mi capita di pensarci e sembrano passati decenni, altre invece è
come se fossero trascorsi pochi giorni.
Eravamo diversi, io e R. Non credo che
quel periodo per lui abbia avuto lo stesso valore, che si sia
manifestato in maniera tanto prepotente. Tutto sembrava scivolargli
addosso. Eppure lui era lì nel mucchio, come uno scoglio in mezzo al
mare: la sua presenza era tanto fisica da fendere le correnti di
folla senza esserne scalfito. Ne era piuttosto levigato, e riluceva
statico del riconoscimento e dell'ammirazione altrui, che colava sui
suoi bordi, schiumando e frizzando.