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Non temo la gente, parte 1


Lui nella vita sociale ci sguazzava, parola mia. Non ho mai conosciuto nessuno capace quanto il buon R. di destreggiarsi con tanta maestria attraverso la jungla delle relazioni, le rapide delle logiche di gruppo, le correnti dell'accettazione sociale. Sapeva cosa fare e cosa dire sempre e comunque, illuminava con il suo ego ogni ambiente dove fossero presenti più di due persone (lui escluso), aveva assi nella manica per ogni evenienza e necessità. Faceva tutto con garbo, mai sopra le righe. E vinceva, inutile dirlo, ogni mano.
Erano tempi strani quelli in cui ho conosciuto R., tempi che sono passati troppo in fretta, vissuti pienamente ma senza pensarci su troppo. Idea e realtà sembravano collegati: non lo erano affatto. Si agiva e basta, credendo di essere guidati da qualche ideale che però sfumava appena la foga collettiva scemava, lasciando come scarti solo stanchezza e incompletezza. Il tempo in quel periodo era una melassa che si contorceva e si modellava disordinatamente, creando strati su strati che si mischiavano, si addensavano, restavano appiccicati alla pelle. Se ti ci trovavi dovevi starci dentro, invischiato fino al collo. A volte mi capita di pensarci e sembrano passati decenni, altre invece è come se fossero trascorsi pochi giorni.
Eravamo diversi, io e R. Non credo che quel periodo per lui abbia avuto lo stesso valore, che si sia manifestato in maniera tanto prepotente. Tutto sembrava scivolargli addosso. Eppure lui era lì nel mucchio, come uno scoglio in mezzo al mare: la sua presenza era tanto fisica da fendere le correnti di folla senza esserne scalfito. Ne era piuttosto levigato, e riluceva statico del riconoscimento e dell'ammirazione altrui, che colava sui suoi bordi, schiumando e frizzando.
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