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I'll keep on running, you'll keep on flying


Ogni volta che mi ritrovo in fase di atterraggio mi chiedo quanto poco ci voglia perché qualcosa vada storto. Vedo già il pilota colpito da un colpo di sonno, un altro aereo che ci ingombra la pista o, più spesso, il nostro aereo che manca di misura l’atterraggio. Fino all’ultimo acqua, poi qualche albero sparso e, quando meno ci credi, ecco che spunta un lingua di cemento ad accogliere questo grasso uccello di lamiera. Se solo fossimo atterrati dieci metri prima. Venti. Mi cullo nella certezza dell’errore per scacciare finte paure che non riesco a radunare dentro di me. Ho più paura che l’aereo si possa schiantare o del fatto che ciò non mi mette alcun timore?
Che razza di persona sono diventato? Un aereo che precipita non è più nei miei piani, non mi preoccupa più. Non fa parte delle mie priorità. Che precipiti pure, abbraccerò la novità.
Aria di estero, vacanza, comincia a filtrare nel velivolo che si appresta a fermarsi. Welcome to Amsterdam. Welcome to Copenaghen. Welcome to Prague.
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Tu sai di quest'aria & Ode alla tua bocca


Tu sai di quest'aria

Sai di quest'aria che si
appanna d'umidità
mentre spargi la tua
presenza delicata
dentro me, guardandomi

Potessimo scolorire
come i bordi della sera
perdendoci nell'orizzonte,
o scioglierci nel cielo
come nuvole...

Siamo presenze solide
su cui scivola il tempo

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Uno dei tanti giorni inerti


Colgo il faticoso
disarticolarsi di giunture
intorpidite da
noia e freddo
Giornate anestetizzate
parodie di attimi vuoti 
Ipnotici rivolgimenti di senso
come abbrancati dal
laccio dello scorrere
inapparente e lento
Strascicarsi di pulsioni sorde
scricchiolare di pensieri
timidamente appesi alla
grandezza umana
Squarci di maestosità
in stanze inutili
spazzano le briciole
di quello che è solo
uno dei tanti giorni inerti

Matteo Castello
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Noia


I.
Sono annoiato. Non capisco come si possa celebrare la noia. C'è chi l'ha definita un “mostro delicato”, o chi l'ha considerata come lo scotto che devono pagare i grandi, una sorta di insoddisfazione che le anime eccelse traggono dal non essere appagate dalla mediocrità dell'esistente.
Io invece sono annoiato e mi sento uno schifo, un microbo, un nulla. Mi sento anche malinconico, il desiderio mi tormenta. Non so cosa desidero. Mi divora la tensione verso un traguardo indefinito, verso una totalità di cui non mi sento parte. Anzi, da questa totalità mi sento deriso, peggio: ignorato. Guardo dalla finestra e vedo un'immagine spenta e distante di un mondo estraneo, ostile, grigio. Sono un graffio, uno sbuffo, un grumo disordinato in una materia fluida e sciolta. Mi annoio, sono un'anima in pena. Malinconia e noia si confondono, si rincorrono, si mescolano in un eterno tira e molla, in un continuo arrovellarsi della pazienza. Il tempo si fa infinito nella maniera più scostante. Desidererei addormentarmi e poter saltare subito al domani, lasciando al sonno il compito di dipanare la matassa che blocca lo scorrere disinvolto delle ore.
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