Ogni volta che mi ritrovo in fase di atterraggio mi
chiedo quanto poco ci voglia perché qualcosa vada storto. Vedo già il pilota
colpito da un colpo di sonno, un altro aereo che ci ingombra la pista o, più
spesso, il nostro aereo che manca di misura l’atterraggio. Fino all’ultimo
acqua, poi qualche albero sparso e, quando meno ci credi, ecco che spunta un
lingua di cemento ad accogliere questo grasso uccello di lamiera. Se solo
fossimo atterrati dieci metri prima. Venti. Mi cullo nella certezza dell’errore
per scacciare finte paure che non riesco a radunare dentro di me. Ho più paura
che l’aereo si possa schiantare o del fatto che ciò non mi mette alcun timore?
Che razza di persona sono diventato? Un aereo che
precipita non è più nei miei piani, non mi preoccupa più. Non fa parte delle
mie priorità. Che precipiti pure, abbraccerò la novità.
Aria di estero, vacanza, comincia a filtrare nel
velivolo che si appresta a fermarsi. Welcome to Amsterdam. Welcome to
Copenaghen. Welcome to Prague.