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Non temo la gente, parte 2


Tra fine delle lezioni e sessione esami io e R. non ci siamo più visti per un bel pezzo. Che fine aveva fatto, dava gli esami? Nemmeno allo scritto del corso delle 16 si era fatto vivo. Poco male, io continuavo ad essere immerso nell'universo dissenziente, facevo mille conoscenze e credevo che tutto potesse cambiare solo perché noi lo volevamo. Non volevo dargli ragione, non credevo neppure l'avesse. Per quanto ragionevole, il suo sistema portava al rifiuto di ogni pratica collettiva, all'azzeramento in partenza di ogni possibilità di una presa di coscienza di massa. Mi sono confrontato con tante di quelle persone che subito la convinzione di essere nel giusto, per un attimo vacillata di fronte alla limpidezza del ragionamento di R., è ritornata dalla mia parte. Bisognava far presto e non appena ricominciato il semestre ricominciare a sensibilizzare, a volantinare, a scuotere il grigiore e l'afasia delle aule universitarie. In più avevo conosciuto una ragazza che era una favola, tanto vorace a letto quanto entusiasta nelle riunioni e nei cortei. Aveva i capelli neri e gli occhi grandi, rideva spesso -come piaceva a me- e la sua testa produceva pensieri uno dopo l'altro. Tutti belli e luminosi. Mi infondeva coraggio e fiducia. Quando camminavamo assieme per le vie della città sembrava che tutto si accordasse ai nostri passi, che tutto ammiccasse al suo sorriso, che ogni cosa fosse concorde alle sue idee. 
Ero con lei a bere un tè quando lui è entrato nello stesso locale. Anche lui con una ragazza, pure lei molto bella ma fin troppo frivola. Sembrava uscita da un giornale di moda, quelli con le pagine plastificate. Era così banale e così sessuale da ispirare sentimenti contrapposti: l'avresti scartata come un pacchetto regalo e contemporaneamente giudicata come una vile donna-oggetto. Appena lui mi ha visto mi è venuto incontro e ci siamo stretti la mano. L'ho presentato alla mia ragazza e ho invitato i due a sedersi con noi. Non era lo stesso R. dell'ultima volta che l'avevo visto. Era più rigido, più formale. I miei tentativi di rendere il discorso interessante erano prontamente deviati con affermazioni vaghe, per andare a parare sulle lezioni, sui progetti post-universitari, su quanto fosse bella la città e quante opportunità di svago desse. Argomenti sui quali la compagna di R. teneva perfettamente banco. Era eccessivamente petulante, non si avvicinava d'un passo all'arguzia e all'intelligenza della ragazza che frequentavo e che ora la guardava con un misto di divertito stupore e altezzosa commiserazione. All'ennesima considerazione su quanto quel locale fosse migliore di quell'altro per via di un ambiente più raffinato e esclusivo (sapete, con tutta le brutta gente che gira, l'unica volta che sono andata altrove mi hanno rubato la borsetta, e i duecento euro per il sabato sera saranno andati a qualche drogato), ho lanciato un'occhiata alla mia compagna: - ora ci spiace ma dobbiamo proprio andare. E' stato un piacere. R., mi raccomando, sentiamoci. Lui mi ha rivolto uno sguardo eloquentissimo, tanto colmo di scuse quanto di imbarazzo. L'avrei rivisto e avremmo parlato di quello strano incontro, era chiaro, era urgente.

Poco tempo dopo infatti, dopo una lezione particolarmente inutile incentrata sul sistema cooperativo che è tanto virtuoso e bello ma destinato a fallire perché viviamo nel capitalismo, bellezza, ci siamo trovati fuori dall'aula.
- Ci facciamo una camminata?, ho chiesto.
- Perché no, c'è pure il sole, ha risposto.
Era una di quelle giornate di fine gennaio gelide e trasparenti, con il sole che lanciava i suoi raggi obliqui facendo luccicare i pochi rimasugli di neve non ancora sciolti, le pozzanghere grigie sui bordi dei marciapiedi, i ninnoli di ferraglia delle bancarelle lungo il quartiere studentesco. R. era come al solito impeccabile, con i suoi guanti di pelle nera e quell'aria da libero pensatore gentiluomo d'altri tempi.
- Sai, l'altro giorno mi sei sembrato un po' strano. Dico, con la tua ragazza. Carina tra l'altro. Come vi siete conosciuti?
- Non ricordo, forse a qualche festa. Si, molto carina.
Sono passati pochi istanti di comune silenzio, poi ha aggiunto -comunque non ero strano, è che con lei, con la gente come lei intendo, bisogna essere diversi.
- Diversi? In che senso?
- Nel senso che non possiamo parlare di Marx e di filosofia, non ne capisce nulla, non le interessa.
- Be' ma a te si, o sbaglio? Cioè, al diavolo Marx, ma non dirmi che davvero con lei non fai altro che discutere della qualità dei locali notturni bene...
Sembrava interdetto dalla mia critica.
- Certo, di cosa vuoi che parliamo? Con lei si parla di banalità, con altri di filosofia, con altri ancora di macchine sportive. Mi pare ovvio.
- Ma scusa, non ci si può sempre mimetizzare come dei camaleonti. Si dovrebbero cercare persone con cui condividere la propria personalità. Persone affini, ecco.
- Sbagli. Le relazioni sociali non funzionano così, almeno non per me. L'affinità si crea, non si trova.
- Tu dici? Mah.. E come funzionano per te le relazioni sociali?
- Mmm. È come una festa in maschera a tema. Se vai ad una serata in cui tutti si conciano da supereroi vestito da Topogigio sei fuori tema, sei un coglione. No?
- Mai andato alle feste in maschera.
- Hai fatto male, si trovano un sacco di Catwoman niente male in occasioni come quelle. Ad ogni modo il fatto è che per avere successo nella vita sociale bisogna essere dei camaleonti. Bisogna dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire, vestirsi nel modo giusto...
- Questo è non avere personalità, dai!
- Si, però non nel mio caso, io sono bravo. Io gioco d'anticipo, io sono quello che gli altri si aspettano. La mia personalità è funzionale alle attese altrui, è molteplice.
- Quindi anche quando parli con me stai travestendoti per incastrarti con le mie esigenze?
- No, non è proprio così. Io mantengo un nocciolo di personalità. Non dico cose diverse a seconda dell'ambiente, non mi travesto da qualcuno che non sono. Però rivesto questo mio nocciolo in modo da farlo digerire nel modo più consono a seconda della situazione. Non dirò mai ad uno come te che stravedo per il movimento studentesco, ad esempio. Dirò qualcosa tipo “interessante, è giusto impegnarsi in qualcosa”. Così tu sei contento ed io ho mantenuto la mia integrità senza svendermi.
- Che stronzate. Scusa eh ma così tu non ti esponi. È facile in questo modo. Non ti riveli mai per quello che sei così che nessuno possa metterti in discussione, nessuno possa scoprire i tuoi difetti. Sei invisibile, di fatto, sei un accessorio per gli altri quando credi che siano gli altri ad essere degli accessori per te. La verità è che hai paura degli altri, ecco.
- No, che dici? Non è vero, io non temo la gente. Io semplicemente cerco di accordarmi con la molteplicità, di cogliere le tante opportunità che ci sono qui fuori. Non ti scaldare però, stai tranquillo, amico. C'è già il riscaldamento globale che ci farà friggere le chiappe. Ricordati che bisogna essere cool in ogni situazione.
Era strano, perché non riuscivo a credere che fosse convinto di quello che mi aveva appena detto. Era così naturale nel suo approccio con me, nel suo scherzoso rimettere nei binari una discussione infiammata, che mi pareva impossibile stesse fingendo. Se il suo era un personaggio era un genio, un malefico calcolatore. Uno stupendo professionista dei rapporti sociali. Era affascinante, inutile dirlo. Non riuscivo a provare vera antipatia nei confronti di R., perché sembrava avesse maledettamente ragione quando diceva che non era passivo, ma al contrario modellava gli altri. Fregandoli, di fatto. Era cinico e opportunista, ma dotato di una lucidità e di una naturalezza ammirevoli. La discussione è così continuata divergendo su altri fronti. Ascoltava ottima musica, leggeva libri ricercati, andava al cinema, conservava (sono riuscito a leggerlo tra le righe e sono convinto che fosse davvero la sua opinione) una visione critica sulla società particolarmente brillante e consapevole. Era una persona piacevole, colta, interessante. Dopo una mezz'oretta siamo giunti ad un incrocio.
- Io vado di là, mi ha detto
- Io di là, ho risposto indicando la parte opposta
- Be' alla prossima.
- Si ci vediamo... Aspetta. Senti, dopodomani c'è un'assemblea importante. Vieni pure tu.
In un microsecondo un'idea si era formata nella mia testa. Volevo metterlo alla prova. Volevo portarlo in quell'ambiente, forse l'unico, nel quale aveva manifestato la ferma volontà di non avere intenzione di andare. Volevo capire come si sarebbe atteggiato, come avrebbe fatto fronte a quel brulicare di voci dissenzienti, di pareri, di opinioni.
- No, lo sai che non mi interessa.
- Dai fai uno strappo alla regola, è un'assemblea importante, si deciderà come proseguire la mobilitazione nel nuovo anno.
La sua espressione era più che eloquente nel manifestare un assoluto menefreghismo in merito.
- Ti sfido a venire, mettiamola così. Vediamo come te la cavi. Hai detto che sei il migliore, che sai sguazzare in ogni situazione uscendone vincente. Prova a districarti in un'assemblea studentesca. Scommetto che non ce la fai!
- Che stronzo. Vuoi proprio mettermi nel sacco... Senti, va bene, faccio un salto. Ma quando mi rompo me ne vado. Ok?
Non mi sembrava troppo entusiasta -anzi era entusiasta quanto un pilota costretto a fare ammaraggio- ma aveva detto sì.
- Ok, ci vediamo dopodomani allora. Ok? Mi raccomando!
La sua poco convinta conferma era comunque una conferma, tanto bastava. Ero stato spudorato, l'avevo incastrato. Non per cattiveria, ripeto, solo per curiosità. Aveva accettato la sfida ed ora le cose si facevano interessanti. In cuor mio speravo che una volta lì il confronto l'avrebbe stimolato, che fosse cambiato, che avrebbe cominciato ad impegnarsi per la causa. Una mente come la sua poteva servire. Volevo redimerlo da quel funzionalismo che lo rendeva un perfetto automa, un conformista bello e buono, che se ne rendesse conto o meno.

Matteo Castello
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